Storia della carta a Lucca (Parte III)

Ruoli e organizzazione del lavoro nelle cartiere.

 

È del 1820 il Regolamento dell’arte della carta all’uso di Toscana, un documento redatto sul modello delle cartiere di Pescia, che espone e commenta attrezzature e mansioni delle diverse figure professionali operanti nelle fabbriche.

 

Gli edifici, che dovevano essere situati in zone fresche, arieggiate e vicine a corsi d’acqua abbondanti e di qualità, avevano una struttura funzionale alle varie fasi di lavorazione: al piano terra c’erano il tino (la vasca dove venivano lavati gli stracci) e le pile (dei magli in legno mossi da mulini ad acqua che trituravano gli stracci); il primo piano era adibito ad abitazione degli operai e ospitava le fasi di rifinitura e confezionamento della carta in risme e balle; al secondo piano c’era invece lo stenditoio dove i fogli erano portati ad asciugare.

 

Ovviamente, la lavorazione poteva andare incontro a numerosi fattori esterni che ne bloccavano il processo: un clima troppo freddo poteva rovinare il pesto, uno troppo caldo guastava l’incollatura; la mancanza d’acqua non faceva muovere le ruote, ma troppa pioggia poteva renderle inutilizzabili; in estate la carta poteva seccare troppo rapidamente e ingiallire, mentre in inverno stentava ad asciugare. Anche la diponibilità della manodopera aveva un andamento stagionale, senza contare il problema dell’approvvigionamento degli stracci.

 

Molto accurata, nel regolamento, era la descrizione della vita di fabbrica e dei compiti di ciascuna figura: lo stracciatore doveva selezionare, stracciare e ripulire i cenci; lo studente era addetto alla manutenzione delle pile; il lavorente al tino vigilava sulle fasi più qualificate della produzione dando il buon esempio agli altri operai; l’amministratore aveva il delicato compito di incollare la carta. A ognuno di loro, corrispondevano salari molto diversificati, che variavano non solo in base ai compiti, ma anche tra giovani e adulti o uomini e donne.